Di ritorno dalla Giordania
È passata una settimana e c’è ancora della sabbia nascosta sul fondo dello zaino e un aroma lontano di caffè al cardamomo nelle narici. La vita ha ripreso il suo implacabile ritmo quotidiano, la nebbia padovana ha inghiottito l’arancione accecante del Wadi Rum e nel comodo materasso i sonni non sono più sereni come quelli cullati dalla tenda. Chiudo gli occhi. È l’alba, i colori sono pastello, morbidi. Le pietre tremolano sotto gli scarponcini da trekking e la cupola della tomba di Aronne ci guarda maestosa e silenziosa dall’alto, un puntino bianco che diventa sempre più vicino.
14 marzo 2019
Il sole gioca a nascondino con la luna e il nuovo giorno si schiude davanti a noi. Apro gli occhi e inizio velocemente a preparare la colazione, è lunedì, si torna a lavoro.
Chiudo gli occhi. Una notte nera e soffice come il velluto, puntellato da una miriade di piccole luci. Non fa freddo stanotte nel deserto, mi accoccolo nel mio sacco a pelo arancione avvolta in una coperta di stelle. Non sento nient’altro se non il rumore dei miei pensieri e del vento tra le rocce. Apro gli occhi, accendo il computer.
Chiudo gli occhi. Una nuova alba rosa, dalle tende inizia a sentirsi qualche timido rumore. Sul fuoco crepitante c’è una pesante teiera nera che mi dà il buongiorno. Stringo tra le mani infreddolite una tazza di metallo con una farfallina gialla, coccolata dal tepore del the caldo, mentre all’orizzonte si stagliano eleganti due cammelli, o dromedari. Apro gli occhi, prendo i fogli dalla stampante.
Chiudo gli occhi. Corro a perdifiato a piedi nudi. La sabbia rossa mi solletica le piante dei piedi e le gambe si muovono da sole, libere. Rido, continuo a ridere e non so neanche io perché, invasa da un immenso senso di libertà e spensieratezza. Invasa da un’energia vitale che non ricordavo di avere dentro di me. Apro gli occhi e timbro la pausa pranzo.
Chiudo gli occhi. In una mano ho una fetta di pane arabo scaldata sul fuoco e un po’ annerita dalla brace. La intingo nell’olio, la affondo nello zaatar e quando la porto alla bocca sono invasa dall’odore pungente del misto di spezie. Origano, semi di sesamo, timo. Apro gli occhi e chiedo un tramezzino al bar.
Riprende la vita normale, scandita da suoi ritmi, con i suoi problemi, piccoli o grandi. Mancherà sempre un po’ la Giordania, ma soprattutto quello che ha rappresentato. Una scoperta di storia e paesaggi ma anche e soprattutto di sé stessi. Dei propri limiti e della propria insospettabile forza. Mancherà quell’eterogeneo gruppo di persone che condividevano silenzi e risate, riflessioni e difficoltà. Profonde e delicate, mai invasive, mai fastidiose. Mancheranno quelle guide, un po’ psicologhe, un po’ maestri. Mancherà tutto, eccome se mancherà. Ma il suo ricordo continuerà a scaldare il cuore ancora per molto tempo.
Grazie, Giordania.
Federica Frascolla