La transumanza: un modo di camminare antico
Andiamo alla scoperta della Maiella. Il più meridionale dei Parchi d’Abruzzo. La montagna Madre. E quale modo migliore per scoprire la Majella se non quello di avvicinarsi lentamente, da lontano, camminando lungo un antico tratturo percorso per secoli da pastori, e poi abbandonato ?
E’ un’area dell’Abruzzo poco conosciuta quella che vi presentiamo, non è il cuore del Parco della Majella, non sono le vette più alte (Monte Amaro, Acquaviva, Macellaro, tutte sopra i 2.600 m.), non è la Valle dell’Orfento, i valloni selvaggi, il Blockhaus: tutte aree bellissime e selvagge, ma proprio per questo “dure” e mai facili. Nel cuore del Parco ci torneremo.
Ma intanto prendiamo confidenza con la zona, conosciamone gli abitanti di oggi e di ieri, conosciamone i boschi, i prati, le stradelle, i paesi. Da qui è nata l’idea di un trekking che fosse percorribile anche nelle mezze stagioni, e l’autunno ci sembra la più adatta, col suo clima mite (gli ultimi caldi del Sud) e i suoi colori. Ci mancheranno le fioriture, ma le vedremo la prossima volta!
Partiamo a piedi da L’Aquila, perchè dall’Aquila partiva il “Tratturo Magno”, che percorreremo quasi esattamente per i primi tre giorni di cammino. L’Aquila è una città legata culturalmente ed economicamente alla pastorizia e alla transumanza: anche la Fontana delle 99 cannelle, simbolo della città, non potrebbe forse essere immaginata come un’abbeveratoio per le pecore e i pastori in partenza? Il nostro viaggio diventa allora un andare alle radici del camminare: la Transumanza, quando milioni di pecore, accompagnate da pastori e cani, partivano due volte l’anno, dalla montagna al mare e dal mare alla montagna. “Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare”, come ci ricorda D’Annunzio, e i pastori radunavano le greggi e si mettevano in cammino per sfuggire all’inverno e alla neve. Lungo i tratturi, di cui il Tratturo Magno era uno dei più importanti, largo come un fiume d’erba (nel XV secolo le rigide regole della transumanza, introdotte dagli Aragonesi, stabilivano la larghezza massima del tratturo in 111 metri, per evitare conflitti con i contadini). E dietro alle greggi i pastori viaggiavano a piedi, e, come marinai, passavano da una regione all’altra arricchedosi di esperienze, di incontri e di conoscenze. Una cultura interessantissima, che aspetta ancora di essere riscoperta.
Dopo S.Demetrio ne’ Vestini si arriva alle rovine della città romana Peltuinum, che erano attraversate dal tratturo, qui ancora ben visibile. Poco distante, la chiesa di San Paolo di Peltuino, del XII secolo, è un piccolo gioiello di arte romanica abruzzese. Ma non è l’unico, il primo giorno di cammino: infatti, dopo aver attraversato Tussio, un caratteristico paesino tutto stradine in ripida salita, e dopo un bosco misto di roverelle, eccoci a Bominaco, dove si possono ammirare le due chiese romaniche più belle d’Abruzzo, Santa Maria e l’oratorio di San Pellegrino. Qui, nel paesino dominato dalle rovine di un castello, sostiamo per la prima notte. La seconda tappa ci porta alle sorgenti del Tirino, sempre per stradelli, tracce di tratturo, una natura interessante, ricca di frutti selvatici (more, corniole, corbezzoli, meline, prugnole, noci, mandorle), antichi campi divisi da muri di sasso, rimboschimenti della forestale. A San Giovanni in Capestrano merita una visita il castello dei Piccolomini, nella piazza principale. Le fonti del Tirino, purtroppo recintate, formano una grande polla di acqua limpida, rifugio di uccelli di passo. Il terzo giorno una salita di 600 metri di dislivello tra boschi e prati ci conduce a Croce di Forca, con panorami su Sirente e Majella. In discesa una mulattiera ci porta a Pescosansonesco Vecchio, antico borgo abbandonato dagli abitanti nel 1934 a causa di una frana (resti del castello, della chiesa di San Giovanni e bel fontanile medievale). La discesa ci porta fino a Torre de’ Passeri, da cui ci spostiamo a Piano d’Orta con i mezzi pubblici: purtroppo la valle del fiume Pescara non è più come ai tempi della transumanza, ora c’è l’autostrada, è “civilizzata”, e non è più percorribile a piedi. Ma da Orta, dopo pochi minuti di cammino, il paesaggio cambia, e si entra nel magnifico canyon dell’Orta, seguendo un sentiero botanico ben curato che ci spiega la vegetazione del luogo, tra cui predominano i pini.
Il quarto giorno arriviamo finalmente alla Majella: si continua nelle gole dell’Orta, poi si passa da Trovigliano, Abbateggio, il canyon del Lavino, Lettomanoppello, poi si sale per una mulattiera nella fitta vegetazione, a cui segue una brutta zona di cave, dopo la quale però l’ambiente è già quello del parco. Ancora un breve tratto di ripido sentiero in discesa ci porta a S.Onofrio, uno dei luoghi più suggestivi del trekking.
L’Abruzzo, oltre che terra di Parchi e di transumanza, e anche terra di eremi e luoghi di culto rupestri, e la Majella è il cuore della “eremitismo, la particolare vocazione ascetica del cristianesimo abruzzese”, come scriveva Ignazio Silone. Sotto un’enorme roccia, in un ambiente naturale suggestivo e selvaggio, c’è la chiesetta nel cui interno si può vedere la statua, semplice e popolare, del santo-eremita con barba e capelli lunghissimi. Neanche un’ora di cammino e siamo in un’altro luogo molto suggestivo: l’abbazia romanica di S.Liberatore, un posto ideale per accamparsi con la tenda, anche perchè il torrente Alento, che scorre lì sotto, forma delle pozze che invitano non solo a lavarsi, ma a meditare sul culto delle acque. Due giorni di cammino ci dividono da Pennapiedimonte, dove termina il nostro trekking, e sono giornate diverse da quelle precedenti: non più segni dell’uomo, ma solo natura, natura selvaggia, boschi, sentieri ormai scomparsi nella vegetazione, torrenti, cascate, fonti, un’unico paesino. Per un tratto incontriamo anche il Sentiero Italia, poi la cima più alta del trekking, la Rapina (1.489 metri) e la discesa finale a Pennapiedimonte. E con la fine del trekking rimane la voglia di conoscere meglio questa magnifica regione, in cui cultura, tradizioni e natura sono una cosa sola.
6 gennaio 2011