Rallentare per non fermarsi
Mi sono trovato a muovermi freneticamente fra le strade di una cittadina, passare da un negozio di verdure a una ferramenta, da un bazar cinese a un panificio e, al contempo, a continuare nella progettazione del mio prossimo futuro; prendere il bambino a scuola e poi il lavoro, la doccia, la cena… mi sono ritrovato quasi a correre su quei marciapiedi, percepivo il tempo scapparmi da sotto i piedi, la paura di non riuscire a adempiere a tutto quello che dovevo fare. L’affanno mi stava gestendo e sono diventato cieco, racchiuso nel velo della mia addomesticata mente produttiva-performativa.
Poi, ad un tratto, ho avuto un attimo di risveglio a me stesso, ho sentito l’alienazione, il malessere fisico della fretta e quello mentale della non consapevolezza; mi sono fermato.
Nell’urgenza della mia camminata mi sono reso conto della mia presenza vuota, efficiente e produttiva ma priva di connotati emotivi, priva di poesia. Ecco quello che succede quando il camminare diventa veloce e distratto, quando la meta da raggiungere sembra essere più importante del segmento terrestre su cui poggia il mio piede.