Riflessioni su Devero

A pochi giorni dal rientro a Milano il mio pensiero torna insistentemente a Devero, così che mi è difficile non fissare in parole scritte una parte della miriade di significati, di stimoli e di riflessioni che ha suscitato in me questo viaggio.

Ad esso spero possano far seguito altre esperienze di trekking, che mi troveranno più preparata nello spirito e fisicamente più allenata, ma sicuramente non avranno su di me lo stesso impatto emotivo.

Questa prima esperienza ha infatti rappresentato un modo assolutamente nuovo non solo di concepire la “vacanza”, ma anche di “fruire” del tempo a disposizione e di vivere le relazioni con le persone appena incontrate.

In queste sere a Devero leggevo un libro dal titolo: “Il mondo a piedi”, passatomi da una compagna di viaggio. L’autore individua nel cammino una “potente affermazione di libertà” in antitesi al ritmo frenetico della vita moderna. In realtà mi sono resa conto che vivere il cammino come pieno “godimento dei tempi e dei luoghi” è possibile solo in parte ai neofiti come me, perché richiede una preparazione psicologica e fisica che ancora io non possiedo.

A me, che non ero allenata, le salite in alcuni momenti sembravano interminabili e lo sforzo fisico notevole.

La guida mi faceva osservare che procedevo quasi a scatti per paura di perdere il resto del gruppo e cercavo affannosamente di raggiungere il prima possibile il terreno piano.

Avrei dovuto invece, seguendo il suo consiglio, individuare dei punti di riferimento: un fiore, un cespuglio, una roccia potevano diventare mete parziali, più accessibili rispetto alla meta finale, ma altrettanto importanti per il mantenimento di un ritmo sicuro e costante.

Sì, perché ho compreso quanto sia fondamentale l’acquisizione di un proprio ritmo, quello a sé più congeniale.

E’ un processo mentale che richiede concentrazione su di sé e che un po’ io raggiungevo e anche perdevo a tratti.

Questo mi impediva di cogliere appieno quanto di bello c’era lungo il cammino, di percepire profumi e suoni, di respirare a pieni polmoni l’aria così leggera di quei luoghi.

Ma non potevo, una volta raggiunto il Lago Nero, oppure le vaste distese di pascolo circondate da sorgenti quasi uscite da un sogno, non potevo fare a meno di riflettere sui momenti che avevo da poco vissuto ed interiorizzarli nel silenzio.

Mi capitava di immergere le mani nelle acque dei laghi popolati da girini e rane così piccole che una sola mano avrebbe potuto contenerne una decina. Mi stupivo di come si lasciassero avvicinare a testimonianza di una natura del tutto indifesa di fronte alla crudeltà dell’uomo e alla sua insana sete di profitto.

Distesa sull’erba, sotto i raggi caldi del sole, sentivo che quei paesaggi così prepotentemente belli non sarebbero comunque stati in grado di suscitare in me tanta serenità se, attorno a me, non avessi avvertito la presenza di persone accoglienti e pronte al dialogo.

Risultava più semplice, lontano dalle tensioni della routine quotidiana, voltare le spalle alla dittatura del conformismo sociale e parlare, con naturalezza, con chi stava condividendo la stessa esperienza di viaggio.

Provo tenerezza nel ripensare a Grazia. La rivedo intenta a scrivere quella quindicina di cartoline destinate ai bambini di cui era maestra. Ricordo la sua risata sanguigna e contagiosa, i suoi modi schietti, la tranquillità di chi è pacificato con sé e con il mondo.

Mi torna alla mente Marina, la sua delicatezza quando capiva quanto fosse difficile, ad una persona chiusa come me, confidare cose personali e quanto mi risultasse doloroso ripensare a scelte sofferte che credo tutti nella vita abbiano dovuto affrontare. Nonostante facesse la psicologa a Rimini e fosse portata a scandagliare le persone nel profondo, si limitava, in quei momenti, a guardarmi con dolcezza.

Lucia, così divertente quando parlava in toscano, era una veterana del trekking, eppure spesso adattava la sua andatura alla mia per farmi compagnia lungo il cammino. Ne ammiravo la grinta, la forza di spirito nell’aver saputo individuare proprio nel trekking una valvola di sfogo contro le negatività e le zavorre del vivere di ogni giorno.

E, ancora, ricordo Laura, Enrico…., ciascuno di loro rimane impresso nella mia memoria.

Al mio ritorno, ho tirato fuori da un libro alcune righe di Pablo Neruda, che una persona, in passato, mi aveva lasciato perché ne custodissi le parole facendole mie.

Leggo:

“Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca o il colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

….. chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti.

….. chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.

….. chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.

….. chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità”.

Non so se nella mia vita riuscirò ad evitare la morte a piccole dosi di cui parla Neruda, ma so che cercherò, per quanto mi sarà possibile, di sperimentare altre esperienze, come quella appena passata, dalle quali possa derivarmi l’energia positiva che consente di progettare l’esistenza in termini concreti di volontà e creatività.

Tornata a Milano la cronaca, con l’uccisione di Baldoni, mi ha riportato in una dimensione in cui tutto mi ribadisce che il mondo sta andando in un’altra direzione rispetto a quella che vorrei.

Ma so che, anche tra qualche mese, quando la mattina mi entrerà nelle ossa il freddo pungente di questa città e tutte le cose saranno avvolte da una nebbia che sembra offuscare non solo la visione, ma anche i pensieri, anche allora, nonostante tutto, in quella nebbia riuscirò a rivedere l’immagine di Devero e delle persone che vi ho incontrate e sicuramente quell’immagine riuscirà a strapparmi un sorriso.

Un grazie di cuore alla Boscaglia, per il suo impegno nella promozione della cultura del camminare, a Luca per la sua professionalità e simpatia, a Caterina, per la sua gentilezza nonostante il mio “procedere” un po’ confusionario e lei sa a cosa mi riferisco.

Sabina Coroli

Redazione CdC
23 dicembre 2010