Di buon passo nell’Appennino che resiste

Andalusia, Ottobre 2023.
Pedalo fuori dal gruppo, defilato e indolente.
Mi chiedo che ci faccio qui, mentre i miei compagni di viaggio mangiano l’ennesimo churro con la cioccolata.
El Burgo, Ronda, Cordoba, Antequera: l’Andalusia è una terra pettinata dall’uomo e dalla sapienza araba, eppure questo viaggio non mi entra nell’anima.
Qualcosa si è incrinato nel mio sguardo.

29 October 2024

Né la bianca Antequera con l’imponente Alcazaba, né il labirinto di colonne della Grande Moschea di Cordoba, né l’azzurro color lapislazzuli del lago di El Chorro riescono a stupirmi.
Da quando l’azienda di famiglia è stata venduta il mio sguardo è mutato, consapevole che quarantasei anni di lavoro segnano una persona e la condizionano per il resto della sua vita, anche da pensionato.
Avevo un sogno nel cassetto, accarezzato negli anni in cui il tempo mi era negato, immaginato più che costruito. Abbozzato tra le montagne e le grotte del Matese, nelle notti insonni trascorse a Pozzo della Neve, nei meandri di questo abisso luminoso. Un giorno, dicevo, attraverserò l’Appennino in bicicletta, da dove inizia fin dove termina.

Inizio a studiare la dorsale appenninica da ogni punto di vista: geografico, storico, sociologico, antropologico, economico, religioso.
La bellezza delle montagne, il silenzio delle faggete, le ruvide pietre delle abbazie, i volti dei pastori, nascondono un universo relitto, abbandonato, in parte oscuro, fatto di lotte, sofferenze, ribellioni, magia, soprattutto di rassegnazione. Terra di santi e di briganti, di transumanza e di emigrazione.
Riscopro così i grandi della letteratura del mondo contadino: Levi, Alvaro, Silone, Fenoglio, Pavese, Revelli, Scotellaro, Berto, Pomilio, Jovine.
Leggo la storia del paesaggio agrario italiano di Sereni, gli scritti sul Mezzogiorno di Manlio Rossi Doria, l’Appennino di Ciuffetti, un viaggio in Italia di Ceronetti.
Non trascuro Galasso, Villari e Sylos Labini sulle origini della questione meridionale.
E poi Blok, Banfield, Putnam e Ostrom sulla mafia, sul familismo amorale, sulla tradizione civica delle regioni italiane e sulla tragedia dei beni comuni.
Mi soffermo sul culto di Demetra e delle Madonne Nere.
Rileggo Paolo Rumiz e Riccardo Finelli alla ricerca di un itinerario, di un’idea, di un motivo.
Fisso dei punti sulla carta geografica, ma non sono convinto. Manca la visione, manca la matrice dei luoghi.
La matrice identitaria dell’Appennino: una koinè che accomuna i territori e le genti che vivono e hanno vissuto su questa lunga dorsale inquieta, al centro del Mediterraneo. Un’equazione con molte incognite, la cui probabile soluzione si trova oltre le metropoli, nel secolare dialogo tra città e campagna, tra gioghi e valli, tra chiese a antichi romitori, nei muretti a secco e nelle aie, nei mulini e negli essiccatoi, dove le strade sono tortuose e solitarie, dove c’è il silenzio e si odono i rumori e il frusciare delle foglie e il raglio dell’asino, dove le pietre sono grigie e cotte dal sole.

L’Appennino è una montagna antica, medioevale, femminile, barbarica ci ricorda Paolo Rumiz.

E poi, per caso, dopo il mio ultimo viaggio in Andalusia, trovo le tracce della SNAI, la Strategia Nazionale delle Aree Interne.
Una politica nazionale promossa nel 2013, dall’Agenzia per la coesione territoriale e dall’allora ministro Fabrizio Barca, per contrastare lo spopolamento delle aree interne.
Un altro capitolo si apre e mi inghiotte per lunghi mesi.Teti, Magnaghi, Tantillo, Lucatelli, Spadano, Rizzo, riempiono le mie serate vicino al fuoco del camino, in compagnia di Otto, il mio cane lagotto, e di un ottimo Aglianico beneventano.
Studio oltre trenta strategie elaborate dalle aree. Prendo appunti, sottolineo le parti che considero importanti e ne ricavo un “table de board” che mi accompagnerà durante il viaggio.

Mi affaccio su “un’Italia rurale e rugosa”, popolata da 13 milioni di italiani, in un territorio pari al 60% di quello dell’intera Nazione, dove mancano i servizi essenziali sanciti dall’art. 3 della Costituzione, cioè manca l’uguaglianza.
L’Appennino e la montagna ne fanno parte a pieno titolo.
La politica se n’è dimenticata, in una visione urbano-centrica dei territori, che è diventata retorica della montagna, a uso e consumo della città, ridotta a un cliché di purezza, tradizioni, cibo genuino, aria pura, acqua cristallina e panorami mozzafiato.

Ho capito di aver trovato la mia strada.
Esplorare l’Appennino nel duplice aspetto di matrice dei luoghi e di spazio in via di spopolamento, ma anche come laboratorio di nuove sperimentazioni sociali, dove nascono nuove comunità e i giovani stanno ritornando.
Ho definito una matrice di paesi da raggiungere, individuati secondo una tassonomia di caratteristiche salienti, e tracciato il percorso, dalle Madonie alle Langhe.

Mancava un nome al progetto, la cosa più difficile. Mi è venuto in mente Luca Gianotti e la lentezza, e così “Di buon passo nell’Appennino che resiste” mi è sembrata la soluzione migliore.
Per ultimo, ho eletto la bicicletta come il più valido strumento che esista per fare ricerca sui territori, e un bel giorno di maggio sono partito dal porto di Napoli per la Sicilia.
E il viaggio ha avuto inizio. (continua)

Salvatore Capasso

CHI SONO
Cicloviaggiatore, esperto dei territori e delle aree interne, speleologo e camminatore, classe 1957, sono nato nell’antica città di Alife di origine osco-sannita, distrutta durante le guerre sannitiche e riedificata come colonia romana.
Vivo a Piedimonte Matese ai piedi del massiccio del Matese.
Dopo aver conseguito una laurea in Scienze Politiche, indirizzo Politico-Internazionale, ho lavorato per 46 anni in una piccola banca fondata da mio nonno nel 1912, fino a ricoprire ruoli apicali.
Sono un appassionato di montagna e di viaggi in bicicletta, e per oltre quindici anni ho praticato la speleologia e il canyoning.
Nel 1999 il mio primo viaggio in bicicletta da Land’s End a John ’o Groats. Negli anni a venire ho alternato cammini a piedi con viaggi in bicicletta.
Nel 2011 ho ideato la Ciclovia del Volturno e nel 2015 la Ciclolago del Matese.
Sono padre di sei figli e mi dedico a tempo pieno alla mia passione e allo studio di tematiche socio-economiche, politiche e demografiche legate ai territori e alle aree interne.

Chi desidera seguire il mio viaggio troverà i resoconti giornalieri e altre amenità sul mio profilo Instagram capasso_salvatore.