Di buon passo nell’Appennino che resiste /2

Continuiamo il racconto di Salvatore del suo tour in Appennino con la bicicletta (gravel) alla scoperta di chi resiste.

“Utilitarie e biciclette attirano solo i simpatici, i bambini, i matti, i solitari e i vecchi originali dalla memoria di ferro, che sono proprio le persone con cui vale la pena fermarsi sulla strada della vita”
Paolo Rumiz

Redazione CdC
15 November 2024

Polizzi Generosa, 9 maggio 2024

Sono in Sicilia da due giorni e ho pedalato per centotrentaquattro chilometri fino a Polizzi Generosa, un paese nel Parco delle Madonie. Un cielo flaccido e plumbeo, gravido di pioggia che sarebbe puntualmente arrivata sulla salita del lago di Rosamarina, mi ha dato il benvenuto al porto di Palermo.
Nel quartiere Brancaccio, una “Beirut siciliana”, tra cumuli di rifiuti e clacson assordanti, sorpasso un’ape-car agghindata a festa, con nastrini tricolori, fiocchi svolazzanti e tatuaggi sulla vernice scrostata. La pioggia, dopo Caccamo, è diventata un acquazzone, e stoicamente ho accettato l’acqua, e a lei mi sono abbandonato, mentre gli strati protettivi si bagnavano uno dopo l’altro.
L’indomani, da Roccapalumba - dove Simonetta Agnello Hornby ha ambientato il suo primo romanzo la storia di Rosaria Inzerillo “La Mennulara” - per campi coltivati a grano e striati dalle ruote dei trattori, raggiungo Polizzi Generosa. Qui, per 200 anni, hanno abitato gli arabi, prima che i normanni di Ruggero li scacciassero via. La moschea è diventata una chiesa dedicata a Sant’Antonio.
La nebbia sale dalla valle dell’Imera, aria che viene dal mare, e un pastore guarda l’orizzonte con il palmo di una mano appoggiato sul bastone e il gomito dell’altro braccio che ne sovrasta il dorso, mentre indugia nei suoi pensieri. Sul mio quaderno di viaggio ho annotato: nocciole, natali a Dolce e ai nonni di Martin Scorzese e Vincent Schiavelli, frana, fagiolo badda, sfoglio monacale.
A Polizzi le strade sono chiuse per la Targa Florio. Devo raggiungere la comunità di Porto di Terra, il mio primo incontro in terra siciliana. Durante la preparazione del viaggio mi ha colpito l’incipit della loro pagina Facebook: “Tutto si muove, il tempo scorre ed il vento soffia; è presto tempo di issare le vele verso un porto montano tra acque sorgive e boschi indigeni”. Marinai di terra che cercano la salvezza tra le montagne, dove altri prima di loro sono scappati via.
Circa otto anni fa, nove ragazzi siciliani, stufi di vivere in città, si stabilirono in un casale, I Pagliai, in una valle baciata dal sole, punteggiata di pioppi e cipressi, percorsa da ruscelli di acqua purissima e protetta dai venti dal costone roccioso della Giulfaria. Quando arrivarono li chiamavano “Ciao, ciao papà” per sottolineare la loro urbanità.
Sistemarono il casale e diedero inizio a un progetto comunitario di vita e lavoro in montagna, fondato sulla permacultura, sull’ospitalità e sulla valorizzazione dei prodotti del territorio. Oggi il casale è il baricentro di una comunità sparsa che conta trentasette residenti, tra cui anche sette nuovi ospiti, bambine e bambini nati nella valle.
Dario, Teo & Laura & Nilo, Vittoria, Elena & Ada e il cane Duna si definiscono i custodi di questo angolo delle Madonie. Una volta l’anno organizzano un piccolo festival, Trasporto Organico, con musica e laboratori per i più piccoli. Pianificano turni di guardia per prevenire gli incendi e si prendono cura dell’unica strada bianca, a tratti impervia, che li collega con il paese. Se qualcuno ha bisogno di riparare il tetto o di tagliare la legna gli altri lo aiutano. Un modo diverso di ripopolare un territorio appenninico in via di spopolamento: Polizzi nel 2001 contava 4.169 abitanti; ne sono rimasti 2.852, una emorragia inarrestabile. Nei loro occhi sorridenti ho letto la felicità di esistere. Sognano di avviare una fattoria, ma con calma.
Salvatore Capasso