Di buon passo nell’Appennino che resiste /5
Continuiamo il racconto di Salvatore del suo tour in Appennino con la bicicletta (gravel) alla scoperta di chi resiste.
20 January 2025
La foto di Robert Capa
Pendici dell’Etna, maggio 2024 – In due tappe e centotrenta chilometri di asfalto raggiungo Randazzo, alle pendici dell’Etna. Lascio le Madonie e accarezzo i Nebrodi. Dopo una deviazione per Castelbuono e Geraci Siculo, ritorno sulla statale 120, che ricalca la Regia Trazzera Grande di Palermo, una delle principali arterie della Sicilia, che collegava Palermo a Messina. Fu percorsa nel 1898 da Luigi Vittorio Bertarelli, fondatore del Touring Club Italiano, durante il suo lungo viaggio in bicicletta attraverso l’Italia.
Prima di Troina, nei pressi di Sperlinga, fu scattata da Robert Capa la celebre fotografia del soldato americano accovacciato mentre un contadino, con un bastone, gli indica la direzione presa dai tedeschi. La foto, scattata durante la campagna di Sicilia nell’agosto del 1943, è diventata un’icona della fotografia di guerra. Accosto la bicicletta alla bacheca in metallo che ricorda il luogo dello scatto e osservo la piccola collina che ho di fronte. Il paesaggio è completamente cambiato. Stento a riconoscere i luoghi. Il bosco ha preso il sopravvento, e rovi e sterpaglie hanno invaso i campi un tempo coltivati a grano.
Robert Capa, pseudonimo di Endre Friedmann, è considerato il più grande fotoreporter di guerra al mondo. Insieme al grande amore della sua vita, Gerda Taro, documentò la guerra civile spagnola. Gerda incontrerà la morte a Brunete, travolta dai cingoli di un carro armato lealista: la prima donna fotografa a perdere la vita durante un reportage di guerra. Oltre duecentomila persone parteciparono, a Parigi, ai suoi funerali.
A Troina visito il museo della fotografia di Robert Capa, dove sono esposte 62 foto inedite del grande reporter. Sebastiano Fabio Venezia, sindaco di Troina per due mandati, ha sfidato e sconfitto la mafia dei pascoli, recuperando 4.200 ettari di terreni e costituendo la più grande azienda silvo pastorale in Italia.
Dopo Cesarò visito l’abbazia di Santa Maria di Maniace, meglio conosciuta come il Castello di Nelson. Il 3 settembre del 1799, Ferdinando di Borbone la dona a Nelson, conferendogli anche il titolo di Duca di Bronte, per il decisivo aiuto offerto dall’ammiraglio nella repressione della Repubblica Partenopea. Raggiungo la Ducea nel primo pomeriggio. È maggio, ma nelle riarse terre siciliane è già estate inoltrata. Entro con la bicicletta nel cortile che ospita la croce celtica con l’iscrizione latina “Heroi Immortali Nili”, e mi affaccio alla biglietteria. Una gentile signora mi accoglie e mi accompagna nella visita.
Le stanze sono ampie, spaziose e arredate con mobili d’epoca, e si affacciano su un lungo corridoio decorato con quadri di battaglie navali. Un Bechstein domina il salotto, e ovunque sono esposti diplomi, lettere e ritagli di giornali. Nelson non vi abitò mai. Durante la spedizione dei Mille si ricorda il massacro di Bronte, ad opera di Nino Bixio, luogotenente di Garibaldi. Il Generale aveva promesso le terre ai siciliani in cambio dell’appoggio alla spedizione. Tuttavia quelle speranze furono disattese e scoppiò una rivolta popolare, diretta anche contro i proprietari della Ducea, che possedevano oltre ottomila ettari di terreni. La rivolta popolare sfociò nel sangue e fu repressa duramente. Giorgio Bocca, che visitò Bronte nel 1991, scrisse che la repressione della rivolta fu “un freddo calcolo politico dei garibaldini… La Ducea di Nelson era proprietà degli inglesi e… senza gli inglesi Garibaldi non sarebbe sbarcato a Marsala e forse non ci sarebbe stato il Risorgimento”.
Salvatore Capasso