Trekking con le piante sulla Majella
Il bello di non sapere è quello di avvicinarsi alle cose con la purezza, l’ingenuità e lo stupore della prima volta. Durante il cammino vedo molte cose e sono incuriosita, non ho timore di chiedere di che cosa si tratta ed è la cosa più piacevole sentire le risposta delle persone, ognuno ha una sua interpretazione, ognuno ha una storia da raccontare, immagini di bambino legate ad un profumo, un fiore, un albero. Ricordi di che cosa si faceva o come si giocava in mezzo alla Natura. È il modo più affascinante di avvicinarsi a loro, alle piante, per conoscerle.
22 maggio 2004.
Giorno dell’arrivo, nei pressi delle Grotte di Stiffe. L’esplorazione della Natura inizia già qui.
Syderitis syriaca, con questa pianta dal nome sibilante e musicale si fa il miele e il te di montagna, è molto usata nei paesi mediterranei. Il profumo è strano ed elaborato, misterioso, ne tengo in tasca un rametto per assaporarne il profumo di tanto in tanto lungo il cammino. È verde chiaro, somiglia alla salvia, le foglie sono ricoperte da leggera peluria argentata. Ha qualcosa di fatato, di lontano ed orientale. La troviamo vicino alle grotte di Stiffe e poi ci accompagnerà lungo tutto il trekking, c’è ovunque in questi luoghi.
Corniolo, le foglie sono verde chiaro, leggere, le nervature seguono la forma della foglia e si congiungono all’estremità. Per riconoscere il corniolo si prende una foglia e la si spezza a metà. Le nervature della foglia nonostante lo strappo la tengono unita. (esperimento nel bosco vicino alle cascate di Stiffe ). I suoi frutti sono minuti e dolci.
Elicriso, sembra umile, ma ha un nome glorioso. Il nome greco è sole dorato", per i suoi fiori giallo lucente. È verde chiaro leggermente argentato, le foglie somigliano al rosmarino e sono ricoperte di peluria delicata, l’aroma intenso somiglia alla liquirizia, forse un po’ anche al limone. Non è ancora fiorito in questo periodo.
I. Domenica 23 maggio. Da San Demetrio a Caporciano. Prima tappa, carica di storia e natura. Attraversiamo il Trattura Magno, Peltuinum, Tussio. Sostiamo per un attimo davanti alla chiesa in pietra bianca di San Paolo. Sfioriamo l’eremo di san Michele ma non entriamo. A Bominaco visitiamo l’oratorio San Pellegrino con i suoi dipinti dai colori forti e la chiesa di Santa Maria Assunta che emana calore e semplicità, l’energia che trasmette questo luogo è potente. L’agriturismo di Marina è una “sinestesia” di sensazioni cangianti di sapori, colori, profumi.
Olmo, albero fedele che, non so perché, ma ricorda i nonni (forse una serie di associazioni con un film). I suoi piccoli frutti chiamati pan di maggiolino sono disposti a grappolo facili da prendere, sembrano legnosi, in realtà si raccolgono e si mangiano volentieri, sono pieni di olio buono da assaggiare in una grande insalata. La pastora di pecore a cui chiediamo dice che anche una volta si mangiavano. Siamo curiosi di sapere come venivano chiamati… Semplicemente "olmo" ci risponde. Con Luca mangiamo Pan di Maggiolino vicino al paesino di San Giovanni.
Pioppo tremulo, si chiama così per la forma della foglia e perché appena si avverte un filo di vento le piccole foglie si muovono tremolanti velocemente. Lo incontriamo dopo San Giovanni.
Biancospino, albero o cespuglio, le foglie sono verde scuro, foltissime, frastagliate, i fiorellini bianchi, minuscoli, fitti fitti, con tanti pistilli fragili. Immergersi nei fiori significa assaporare una fragranza sottile, delicata di fiori chiari. Occhio agli insetti se si inspira profondamente. È impossibile staccare gli occhi da un biancospino in fiore o resistere al profumo dei fiori sbocciati. Ogni alberello ha i suoi tempi: vicino ad un albero completamente fiorito ce ne può essere uno con i fiorellini ancora chiusi, boccioli piccolissimi e frequenti, promettono bene. Lo guardiamo insieme incantate con Susanna e non ci stanchiamo mai.
Viburno, l’albero argenteo è subito dopo San Giovanni. La pagina inferiore della foglia è argentata.
Fiordaliso, in accoppiata con il papavero si fa fotografare da tutti sui prati lungo il tratturo magno. Gianna è stupita: da tanto non vedeva questo spettacolo. L’accoppiata di colori le ricorda l’infanzia.
Assenzio, ha un nome antico che evoca alchimie, come una droga ci immergiamo nella sua fragranza per avere un po’ di energia lungo il cammino. Lo troviamo per la prima volta lungo il tratturo magno e poi ci accompagnerà per tutto il trekking. È un’ erba dal colore verde chiaro argentato, foglie larghe e frastagliate, morbide. Il profumo è molto amaro. Marina ritrova nuova linfa per camminare annusando queste foglie aspre.
Farfaraccio, con le grandi foglie verde chiaro quasi da foresta equatoriale si può fare un ombrello per ripararsi da una pioggerellina leggera. Lo troviamo il vicino a Sette Fonti dopo Peltuinum.
Il caprifoglio ha qualcosa di elegante, la forma è elaborata, a calice con il bordo non regolare, il colore è bianco e rosa a sfumature, il lungo pistillo esce dal calice, certamente non è un fiore semplice come il biancospino, si dà un po’ di arie di ricercatezza. Il profumo soave ti dona serenità, chinarsi sul cespuglio per assaporarlo è un gesto che viene istintivo. Un gioco si può fare con lui: si stacca delicatamente un fiore e si sfila il pistillo dal buchino sotto, all’interno rimarrà una gocciolina trasparente di miele, da succhiare velocemente prima che cada. Gioco romantico da fare anche in due. Anna mi insegna il gioco. Lo troviamo sulla strada per la prima volta dopo Tussio.
Menta, ha foglie strette e lunghe appuntite, il profumo è piccante ed energetico. La guardiamo insieme io e Marina a Tussio.
Prugnolo, lo troviamo verso Caporciano prima della sommità del colle.
Mirto, il profumo è inconfondibile e lo assaporiamo nella discesa verso Caporciano, anche sotto la pioggia si sente intenso e Marina della Sardegna ci conferma che si tratta proprio di mirto.
Vitalba, nel menu di Marina c’è una “crema di vitalba” delicata. Cresce dappertutto nel suo giardino botanico, anche dove non dovrebbe. Fa dei piccoli fiori vaporosi che in maggio sono secchi. Si mangiano i piccoli germogli all’estremità anche così raccogliendoli lungo il cammino e si sgranocchiano lì per lì.
Borragine, che bella la borragine che cresce con quei fiori viola vaporosi, si trova spesso in erboristeria, qui cresce ovunque. È semplice ma sofisticata allo stesso tempo.
Finocchio selvatico, La piantina ha tante ramificazioni verde chiaro e sembra una piccola rete.
Dragoncello, estragon, magie da apprendista stregone nel giardino botanico.
Melissa, le foglie in Abruzzo sono stranamente grandi, il profumo sfregando le foglie sulle dita è rilassante, infatti il suo estratto ha le proprietà della camomilla.
Malva, con le foglie si possono fare impacchi antinfiammatori.
II. Lunedì 24 maggio da Caporciano a Capestrano. Tappa nel verde in una giornata di sole e cielo terso, sullo sfondo il Gran Sasso nitido con la neve. Visitiamo Navelli, paese dalle mille finestre e dai mille archi, fermo nei secoli. Attraversiamo la selva verso il Monastero degno di trame da Nome della Rosa con tanto di biblioteca, labirinto, codici proibiti e frati che gozzovigliano.
Violetta, può essere bianca o viola. Bello pensare ad un’insalata condita con una spruzzata di violette. Mangiamo il fiore su invito di Luca andando verso Navelli. Scopriamo che il gambo è saporitissimo in modo intenso più quasi del fiore. Marina me la fa notare anche il primo giorno nei prati del paesino dopo San Demetrio. La troviamo anche l’ultimo giorno molto in alto vicino al Rifugio sulla Majella.
Timo, lo mangio su una galletta dopo Navelli prima di Capestrano nella pausa in cui Marina, con l’incedere di chi racconta le fiabe ai bambini, legge a tutti noi la storia del pastore Nestore. Ha dei fiorellini piccolini color rosa. C’è dappertutto nei prati. Semplice, discreto e profumato.
Ginepro, scendendo tra la boscaglia ci assale un profumo che sembra di arrosto appena sfornato, forse è il ginepro che dà questa sensazione. Il gruppo concorda con l’effetto agopuntura (punge davvero!).
Orchidea “bombo” ha la forma di un’ape e serve per attirare a sé gli insetti. Ne scopre Marina tantissime sul sentiero prima della boscaglia tra Navelli e Capestrano.
Mandorla, si mangia ancora verde tutta intera (Anna Maria) verso Capestrano oppure secca rimasta sull’albero dall’autunno precedente lasciando Capestrano verso Forca di Penne (Luca).
III. Martedì 25 maggio da Capestrano all’agriturismo di Antonio (c.da Acquaviva a Castiglione a Casauria). Giornata calda e assolata.
Sosta nei campi di papaveri con foto, salita in libertà fino a raggiungere Forca di Penne. Sosta nel posticino affacciati sul mare. Pisolino.
Salita attraverso i prati, vista del monte... arriviamo all’agriturismo di Marino: vento, sole, aria fresca e pulita e la casetta sull’albero, simbolo di fertilità.
Passiamo attraverso il paesino di Pescosansonesco, per metà distrutto dalla frana.
Attraversiamo poi la valletta con discesa, guado e salita nel fango. Verso l’agriturismo di Antonio e corsa attraverso i prati e discesa di corsa con Stephane e Luca.
Papavero, con Luisa passeggiamo poi nel campo di papavero sotto il paese di Capestrano. Bello raccogliere un bocciolo che sta per fiorire, aprirlo con le mani e soffiare dentro, sembra di carta crespa. Mangiamo le foglie condite come un’insalata nell’agriturismo di Marina.
Orchidea “omino”, è rosa ed ha i petali a forma di piccolo uomo come i ritagli di carta che si facevano da bambini. La troviamo nella salita verso il paesino di Pescosansonesco, paesino travolto dalla frana che ci accoglie con suono di campane, beneaugurante per il viandante.
IV. Mercoledì 26 maggio da Agriturismo da Antonio fino a agriturismo la ginestra da Pierina. (località Abbateggio)
Andiamo verso Torre de’ Passeri e poi verso l’abbazia di San Clemente a Casauria. Entro sola nella cripta. C’è un silenzio pieno di energia. Le colonne sono bianche, grandi e forti. Mangiamo vicino al bosco. Saliamo verso Bolognano il paese dell’artista tedesco con il cappello di feltro, Joseph Beuys. Sentiero in discesa e poi guado. Risalita in quelle foreste che sembravano la Corsica verso il rifugio Capannelle.
Ginestra, gialla profumo di miele ma le api non si avvicinano a lei (Luca). Ha la forma di un beccuccio elaborato. Gialla ci fa compagnia lungo tutto il cammino, ama i pendii assolati, è fiorita o no a seconda dell’esposizione. Le macchie gialle si vedono da molto lontano e colorano di luce tutto il paesaggio.
Ciliegio, il tronco ha delle striature bianche. Ci fermiamo a mangiarne i frutti lungo la strada verso Torre de’ Passeri.
La piantaggine ha foglie lunghe e strette con delle profonde nervature. È una pianta umile. Se si strofinano le foglie sulla puntura di zanzara passa il prurito (Luca ci suggerisce la piantaggine prima di Bolognano).
Cisto: pianta del Mediterraneo, assomiglia un po’ alla salvia, fiorita in maggio ha dei fiori rosa ma forse oggi sui colli Euganei l’ho riconosciuto nella sua veste bianca (?). Ce la fa scoprire Luca nel bosco verso Bolognano. Lo confondo con la rosa canina...
Iperico, sì l’iperico è un fiore giallo intenso che si presenta senza pretese, con cui si produce l’olio che cura le scottature del sole, piccole ferite e graffi comuni nelle camminate nei boschi. Antidepressivo naturale. Se si prendono tra le dita i pistilli, l’essenza presente nei piccoli puntini neri colorerà la pelle di macchioline scure. Si tratta dell’olio essenziale che poi diluito è di un rosso forte e intenso. Guardare in controluce la foglia significa scoprire molti forellini che contengono l’olio essenziale. In Francia si chiama millepertuis e da noi è detto anche erba di San Giovanni perché si raccoglie proprio il 24 giugno: con questo nome ha qualcosa di incantato, un alone di santi taumaturghi. Ci si strofina le mani in due in mezzo al bosco e poi ci si bacia leggermente.
Ferula con cui si fanno i cesti. Ad una prima occhiata sembra quasi un’agave fiorita, ma non lo è, penso. In Sardegna, ci insegna Marina, è più bassa ed ha il fusto più grosso. Nel bosco prima di Bolognano.
V. Giovedì 27 maggio da agriturismo la Ginestra fino ad Agriturismo Il Tholos
Da Caramanico Terme risaliamo la valle dell’Orfento. Salgo da sola nella valle, per Ascoltare il rumore dell’acqua. Delle piante e della Natura.
Località Ponte nel vallone. Il torrente è gelido e immergiamo i piedi per sentire il contatto con quest’acqua. Raggiungiamo Decontra, la Majella ci accompagna. Attraverso i prati arriviamo al vallone di Santo Spirito con l’eremo di San Bartolomeo, incastonato nella roccia. C’è una sorgente che sgorga dalla roccia ritenuta miracolo del santo e un ponte di roccia per salire all’eremo sostenuto da due sassi. L’eremo è bianco e avvolgente, infonde pace e spiritualità.
Attraverso i prati giungiamo all’agriturismo il Tholos. È la tappa più bella.
Pisello selvatico, fiori delicati e dolci, li riconosco dalle illustrazioni dei libri di scuola per gli esperimenti di Mendel. Marina mi conferma. La troviamo nella Valle dell’Orfento.
Veronica così si chiama il fiore lilla che cresce nei prati e sulle rocce, ma non sappiamo esattamente se il nome sia corretto (lo scopre Marina).
Robinia, fiori a grappolo profumatissimi in cui immergersi nell’aroma direttamente anche passando velocemente lungo il sentiero. Le infiorescenze si fanno mangiare fritte in agriturismo al Tholos come antipasto. Bello prenderle con le mani, sporcarsi le dita e sgranocchiare il grappolo fritto.
VI. Venerdì 28 maggio. il pulmino ci porta fino all’eremo di Santo Spirito che visitiamo. Camminata del silenzio attraverso il bosco di faggio, saliamo lungo i prati fino al rifugio. Scendiamo nella mugheta lungo le creste, sprazzi di nebbia e di sereno che mi commuovono si aprono sulla Majella. All’improvviso un temporale e il faggio ci ripara nel suo bosco. E’ bello prendere la pioggia e asciugarsi dopo. Passo sotto la penna di roccia e il trekking finisce. Inizia la tristezza del ritorno.
Faggio, ci ripara nel bosco durante il temporale e fa da cornice alla camminata del silenzio dopo l’eremo di Santo Spirito verso il rifugio.
Genziana di Koch, calice di colore viola, verso il rifugio dopo l’eremo di Santo Spirito (Luca).
Orapi (erba del buon Enrico), spinaci selvatici. Nella pagina inferiore sembrano spolverati di sale.
Pino mugo, Mario mi insegna quali parti si prendono per fare la grappa, l’odore è quello dello sciroppo per la tosse. Le mani spezzando a metà il frutto restano sporche di resina.
E poi: Ciclamino, nel bosco ama l’ombra. E stupisce per il suo colore.
Nocciolo che si differenzia dal faggio per una puntina all’estremità della foglia.
Bocche di leone: da bambini ci incappucciavamo le dita di questi fiori dal colore rosso acceso che nascono magicamente dai sassi.
Equiseto o code di cavallo. Rosa canina, semplice e pura, elegante e fragile c’è ovunque a portata di mano e di sguardo.
Sambuco, con i fiori si fa lo sciroppo e si mangia il fiore fritto. Crocus che spunta timido e forte nei prati spelacchiati per la neve che si è sciolta. Orniello, pino nero, fico, melo, asparagi selvatici (si possono mangiare anche così da soli lungo il sentiero), maggiociondolo, piretro, papavero da oppio, acero montano, tarassaco, quei fiori bianchi che crescevano sulle rocce dell’eremo di san Bartolomeo, i piccoli fiori di un rosso intenso trovati lungo il sentiero.
Perché è così bello guardare la Natura e lasciarsi incantare? Forse perché non sono abituata ad ascoltare me stessa, il mio corpo, le cose che mi stanno di fronte, non sono capace di toccare e di sentire con la pelle le emozioni che la Natura intorno mi dà? E quando la riscopro è bellissimo abbandonarsi a lei ed entrare in contatto con l’essenza delle cose.
Elena Dal Prà
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