Il cammino come destino
“Se sei triste guarda il cielo”
Così recita la centenaria poetessa giapponese Shibata Toyo.
Come se il cielo fosse davvero il luogo degli Dei.
Come se la specie umana avesse una profonda invidia per chi lo popola agitando le sue ali.
Pare furono dei tipi di dinosauri a “scegliere l’aria” come via di evoluzione… e divennero uccelli.
A noi è toccato colonizzare la terra, limitandoci nell’innalzarci a raggiungere la posizione eretta.
Ma la nostalgia del volo ci è rimasta dentro.
E con la tecnologia siamo diventati padroni degli spazi alti e leggeri.
E probabilmente conquisteremo altri pianeti.
Stiamo rischiando di passare da un eccesso all’altro… dal sentirci schiavi d’un corpo che deve faticosamente strisciare su terre impervie, all’illusione di poter tutto ottenere con la forza della mente ed il nostro senso d’onnipotenza.
Il cammino come destino.
Tra Terra e Cielo.
Guardare il cielo senza scordare la nostra natura terrestre.
Oggi sono le nostre malattie, organiche e mentali, a costringerci a riflettere su chi veramente siamo.
E torniamo a camminare.
Reimparando la filosofia del viandante.
L’equilibrio da ricercare è armonizzare le nostre ambizioni di crescere all’infinito con l’istinto innato che trova felicità solo nello sperimentare i sensi tutti e, attraverso di essi, i nostri limiti.
D’accordo, useremo le macchine intelligenti.
Attenzione però, progettiamole come nostri ausili e con noi in movimento in orizzonti aperti.
Se invece fossero loro a sostituire i nostri arti e membra e l’intelligenza stessa, rischieremmo l’estinzione.
Tradire il nostro destino di camminatori, ci porterebbe ad essere “alieni” al nostro stesso essere.
Il richiamo del cammino ci è indispensabile per tenere i piedi per terra.
Rivolgiamo gli occhi al cielo solo quando vogliamo lenire le nostre tristezze.
Guido Ulula alla Luna