Il cammino e gli alberi
Amo gli alberi.
Oltre all’eleganza del portamento, li ammiro per la loro maestosa dignità di stare, di essere fermi e convinti mediatori di energie fra la Terra e il Sole.
Veri e propri cronografi del tempo.
E poi mi piacciono e mi nutro dei loro frutti, che sono il regalo che questi convertitori alchemici di raggi cosmici ci donano.
In questo frenetico correre della nostra impazzita civiltà umana, l’albero rappresenta la possibilità di meditare sull’individualità del nostro essere e sulla necessità di, finalmente, sostare e trovar pace.
Amo anche il cammino.
Oltre alla bellezza dell’andare, colgo nella ritualità del movimento, ed il camminare è il più semplice e spontaneo ed ancestrale di tutti i movimenti, l’opportunità di gustare coi sensi l’attraversare lo spazio, oltre al tempo.
La materia è solo apparentemente statica.
In realtà è come un’onda del mare, che si riempie di energia e si frange, per poi di nuovo riempirsi e frangersi. Un moto senza senso che, se ben osservato e accettato, è il simbolo stesso dell’esistere.
Un esistere in cui vita e morte sono la stessa cosa, e quindi non separati l’uno dall’altro, ma solo due aspetti d’un unico e insondabile mistero.
Come l’onda, noi umani siamo schizzi d’acqua, che per un attimo si agitano, prima di tornare indistinta natura.
E così, vorrei essere albero, perché ora sono cammino.
Ma sono certo che l’albero, che mi sente passare, altrimenti desidera essere cammino.
Incontro alberi nel mio cammino. E li saluto.
Cosa invidio di loro? Lo so.
È avere radici.
Guido Ulula alla Luna
Nicholas Roerich, “È nato un albero buono”, 1914
Tempera su tela. Museo dell’arte di Horlivka, Ucraina