Il cammino e il clima che cambia (seconda parte)
Inizio maggio. Periodo “perfetto” per camminare. Almeno alle nostre latitudini. Almeno sulle splendide colline reggiane. E invece… ho rischiato un colpo di calore. Non mi era mai successo. Subito ho pensato a chissà quali deficit delle mie condizioni psicofisiche. Poi alla sera un ristoratore del posto mi ha detto che di giorno c’erano stati 29 gradi, con un tasso altissimo di umidità. Insomma, una specie di tropicalizzazione delle nostre terre, e per di più in primavera.
Sto finendo di leggere… meglio dire studiare, visto che sottolineo i tanti passaggi stimolanti… l’ultimo libro di Naomi Klein (Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è sostenibile. Edito da Rizzoli) e sono allibito dal provincialismo italiano. Non c’è traccia nel profluvio di parole dei politici nostrani, che ci confondono le idee più che chiarircele, delle riflessioni sul clima che nel resto del mondo sono al centro del dibattito. Il nostro sistema economico è basato sul concetto di crescita infinita, di possibilità di sfruttamento illimitato delle risorse del pianeta, del libero mercato e del profitto come dogma, fregandosene altamente delle ripercussioni che tutta questa onnipotenza produce sul pianeta. E la scienza oggi è unanime nel ritenere che è la mano scriteriata dell’uomo a produrre quei drastici cambiamenti climatici che rischiano in breve tempo di mettere a repentaglio non solo la salute ma la sopravvivenza stessa della nostra specie. Urgono cambiamenti. Urgono prese di coscienza di tutti noi. Urgono battaglie, visto che chi ha interesse a non modificare nulla dell’attuale rapina delle risorse non muterà certo opinione solo in base al buon senso.
Mentre cammino non sono solo termometro vivente di quanto i climatologi si sforzano di spiegarci.
È sicuramente importante che sulla mia pelle verifico l’impazzimento dell’ambiente che mi circonda. E se unisco questa sensorialità agli allarmi che in qualche modo mi arrivano al pensiero, riesco ad immaginare un nuovo compito per noi viandanti. Che non possiamo rimanere unicamente dei romantici interpreti di un modo di essere uomini ancora legato ai ritmi ed ai modi della natura, quella nostra interiore e quella di cui ci nutriamo rapportandoci ad essa con rinnovato entusiasmo e rispetto. Che lo vogliamo o no, chi cammina è sentinella degli umori della Terra. E se avvertiamo la sua arrabbiatura per le ferite che le procuriamo, è spontaneo ed etico che ci trasformiamo in veri e propri combattenti. Con i nostri passi, sempre più attenti alla realtà e consapevoli “che un altro mondo è possibile” e “che il futuro è di chi lo fa”, saremo attori attivi di un movimento per la rinascita del sacro nel concepire la nostra relazione con l’alterità di cui siamo inscindibili componenti.
Guido Ulula alla Luna