Un incontro… sulla via Francigena
Franco Grosso ci manda questo racconto, che volentieri pubblichiamo.
C’era un francese, un tedesco e due italiani… sulla Via Francigena.
Cosi iniziano, talvolta cambiando la nazionalità e il numero dei protagonisti, un gran numero di barzellette.
Ma questa non lo è, anzi è una storia vera. I due italiani, Fabrizio e Roberto, pellegrini di matrice carlina (cioè viandanti formati sul Cammino di San Carlo, in Alto Piemonte) decidono nella tarda primavera del 2014 di percorrere a piedi la Via Francigena da Vercelli a Roma. Fabrizio, esodato della prima ora in attesa di pensione, di robusta e abbondante costituzione che necessita di forme di volontaria costrizione, decide di dimenticare in questo modo la sua volontà di crocifiggere la Fornero. Mentre Roberto, di vigorosa formazione manageriale e di vasta cultura generalista, riempie la sua terza età con cammini di conoscenza alla scoperta dei pochi angoli di mondo che mancano alla sua credenziale.
Parte il viaggio. Tutto bene nelle piane padane, sull’Appennino e giù oltre la Toscana, incontrando via via altri pellegrini di varia umanità. Condividere le orme, le emozioni e le impressioni lungo la strada sono le cose più belle del cammino, così come incontrare la gente che vive lungo il percorso e con loro comprendere meglio storia e paesaggio.
E di un incontro emozionante si parla in questo racconto. Siamo alla penultima tappa, poco sotto a Isola Farnese, non lontani dalla mitica La Storta, dove parte il tratto che nel giorno successivo porterà tutti a San Pietro. L’itinerario francigeno in quel tratto si allunga su di una pista sterrata che si infila in un tunnel di verde; la vegetazione è abbondante, quasi opprimente. Pierre, il francese è avanti di qualche passo, seguito da Rolando, il tedesco; Fabrizio precede Roberto. La strada forma una curva, oltre non si vede. Pierre ha appena svoltato quando torna precipitosamente sui suoi passi gesticolando e dicendo… “verrat, verrat!!!”. Fabrizio si chiede cosa… verrà e si gira verso Roberto, con un gesto di mano chiaramente interrogativo, fidando nell’amico poliglotta. Intanto il tedesco ha svoltato incuriosito e ritorna pure lui con qualche affanno sbiascicando “uildsvain, grosse uildsvain!!!”
Non ci vuole molto ai nostri a rendersi conto della situazione: oltre la curva, un grosso cinghiale è fermo al centro strada e pare non intenzionato a muoversi; dice nervosamente “no” anche il suo codino.
20 mars 2015
Dopo un attimo di paura e di perplessità, con tutti fermi nelle loro posizioni, compreso il suino, Roberto prende il comando della situazione e forte della sua preparazione classica, prepara la contromossa ricorrendo alla “testuggine romana”. La testuggine (o Testudo), secondo Publio Cornelio Tacito e pure per Wikipedia, era una formazione di fanteria caratteristica dell’esercito romano. Schieramento di grande complessità, richiedeva notevole coordinamento collettivo. Il drappello di legionari armati si disponeva in modo compatto per avanzare fino alle linee nemiche in modo riparato, occultando il numero reale dei componenti.
Non potendo disporre di scudi marchiati con il fascio, i nostri francigeni si proteggono con bordoni e bastoncini e, gridando “ultreya” all’unisono (?) iniziano ad avanzare. La formazione, per questioni di numero, non rispetta lo schema classico quadrato, e assume un disegno romboidale. Fabrizio, suo malgrado, è in testa: in caso di necessità e visto la stazza, può avere funzioni di sfondamento; i due stranieri proteggono le ali (il francese a ponente e il germano a levante, come da posizionamento geografico); Roberto, il furbo stratega, chiude in retroguardia in posizione di assoluta sicurezza.
Il cinghiale, mammifero artiodattilo della famiglia dei Suidi (Sus scrofa secondo Linneo e pure per Wikipedia) prova rispondere con un grugnito poco convinto, ma essendo romano comprende di essere in minoranza e dopo un paio di incertezze, si volta e scompare nella macchia.
Il rumore sempre più lontano di ramaglia spezzata conferma il successo dell’azione e fa esultare i componenti del manipolo che, grazie alla cultura, possono continuare in sicurezza la loro strada.