Marocco, antico e moderno, concreto e leggendario, fiero e accogliente
Marina Pissarello intervista Toni Maraini – 14 Febbraio 2021
« Professoressa Maraini, il suo libro “Ballando con Averroè” accompagna i viaggi in Marocco della Compagnia dei Cammini. Lo porto sempre nel mio zaino perché condividerne qualche brano mi aiuta ad introdurre il Maghreb che sento più mio: vicino, non solo geograficamente, e "un mondo musulmano che non fa paura".
Grazie quindi dell’opportunità che mi offre di rivolgerle le stesse domande, curiose e sinceramente interessate, che le camminatrici e i camminatori mi pongono, mettendosi in cammino nel deserto, fra le montagne dell’Atlante o sulle coste dell’oceano.
Vorrei farlo prendendo spunto proprio dai racconti di viaggio raccolti nel suo libro. Per una riflessione sincera, da viaggiatori attenti, interessati alla bellezza dei luoghi, ma anche alle inevitabili criticità e contraddizioni.
Marina Pisarello – Cominciamo dal titolo, evocativo dell’epoca andalusa e di un Islam illuminato, portatore in Europa di filosofia, poesia, medicina, architettura, astronomia. Un’immagine ben diversa rispetto alla narrazione storica cui siamo abituati!
Toni Maraini – La narrazione storica a riguardo del mondo musulmano è stata sin dal Medioevo dettata in Occidente da interessi e rivalità economiche e strategie politiche (l’Europa perdeva alcune zone di influenza e sfruttamento) che necessitavano una propaganda sul ‘nemico’ per i propri progetti guerreschi culminati nelle Crociate e forieri di reciproci scontri. Inoltre, in tempi in cui i Concili della chiesa lottavano contro le eresie, Maometto e il Corano furono accusati di essere, lui, un ‘diabolico eresiarca’, e l’Islam una “eresia pagana, somma di tutte le eresie”. Come scriveva in Francia nel 1141 Pietro il Venerabile “che si attribuisca all’errore maomettano il nome vergognoso di eresia, o quello infame di paganesimo, bisogna agire contro”. Per questo Dante - che pur pone Avicenna e Averroe’ nel Castello del Limbo con Platone ed altre somme figure - pone invece Maometto nella bolgia infernale dei Scismatici e seminatori di discordie assieme a figure di eretici cristiani quali, ad esempio, Fra Dolcino. Di fatto nel Corano esisteva molto materiale biblico: stesso dio e stessi antenati mitici (Noé, Abramo), stessi venerate sante figure (Cristo, detto Aïssa e Maria detta Myriam), stesse figure di profeti (da Ismaele a David, Salomone, Mosé ecc.), stesse storie edificanti ecc. - il tutto menzionato nelle Sure, così tanto da sembrare non una nuova religione ma un ramo della tradizione biblica. E così era, ma la chiesa, per via anche della poca dimestichezza con le fonti e molta ignoranza, oltre che quanto perseguito politicamente, non capì e l’Inquisizione poi manderà al rogo, e non solo durante la Reconquista di Spagna, chi in Europa possedeva un Corano. L’ombra di questa visione, ri-congegnata in termini coloniali e razziali, alimenta ancora l’islamofobia odierna. Come ha scritto lo storico Norman Daniel “i polemisti ecclesiastici hanno parlato sempre nello stesso modo dei musulmani dal nono al ventesimo secolo”… Si è dovuto aspettare Papa Giovanni XXIII per una svolta della chiesa verso più approfondite conoscenze e salutari iniziative Inter-religiose. D’altra parte, sin dai primi secoli esisteva però un percorso inverso a demonizzazione e ostilità, percorso nel contempo secolare e spirituale che aveva portato a molteplici forme di scambi e incontri (quello di Francesco d’Assisi - fermamente contrario alle Crociate, nel 1219 parti’ per l’Egitto con un messaggio di pace e fu ricevuto con tutti gli onori dal sovrano Malik al-Kamil - rimane un bellissimo edificante esempio), nonché di studio e conoscenza delle materie in cui il mondo arabo-musulmano allora eccelleva. Nonostante tutto questo, e nonostante tanti libri di storici e studiosi, la narrazione comune in Occidente sembra conoscere soprattutto la vulgata negativa.
Marina Pisarello – Lei ha vissuto in Marocco una stagione straordinaria: gli anni ’60 e ’70, ricchi di fermenti artistici e letterari. Quanto è vivace oggi la vita culturale del Maghreb, a quali movimenti o avanguardie c’è da guardare con più interesse?
Toni Maraini – Il fenomeno oggi è diverso, non è più tanto tempo di movimenti di avanguardie artistiche e culturali, ma ciò non significa che non vi siano gruppi e vivacità nel mondo culturale e artistico. Per onesta deontologia, e dato il mio minore contatto odierno con Tunisia e Algeria, posso soltanto dire che in Marocco di fatto non solo vi sono alcune cooperative che proseguono un importante lavoro di fondo, sociale e culturale, ma anche artisti/artiste di cui gli esponenti più giovani si raggruppano per qualche mostra indipendente, azione impegnata, incluso dedicandosi alla ‘street art’ e a interventi nei quartieri, o creano laboratori affrontando un establishment artistico dove, come altrove, primeggiano oggi mercato d’arte e cultura mediatica, il tutto, in tempi di pandemia, con azioni e mostre spostatesi online… La ‘stagione straordinaria’ - che in questi ultimi anni è stata documentata in tesi, libri e mostre retrospettive - è entrata nella storia, e serve in qualche modo alle giovani generazioni come bussola d’orientamento.
Marina Pisarello – Realisticamente, quanto spazio e quanta forza può avere oggi il dialogo interculturale? Quanto la cultura può fare da ponte fra le due sponde del Mediterraneo?
Toni Maraini – La cultura deve e sempre può fare da ponte… ma oggi troppi problemi ne ostacolano il divenire. A cominciare dal totale disinteresse interculturale dell’Italia verso la riva Sud. Non si traducono e pubblicano quasi più autori/autrici del Maghreb (ad esempio, non è stata data importanza qui al Premio Goncourt conferito nel 2016 alla giovane scrittrice del Marocco Leila Slimani), le riviste culturali italiane d’un tempo aperte a loro racconti e poesie mancano all’appello, rari sono i progetti comuni di incontri, mostre e così via (e,questo, già sin da molto prima della pandemia…), mentre nel contempo l’unica politica italiana per il Mediterraneo nordafricano sembra volgersi a interessi di accordi economici in competizione con altre nazioni (vedere il caso della Libia distrutta e contesa tra le potenze per lo sfruttamento dei suoi ricchi giacimenti) e accordi di contenimento migratorio che travalicano ogni progetto umano e politico, non si volgono alle radici dei problemi, e in qualche modo oscurano quanto alcuni meritevoli gruppi e ONG fanno in Italia nel contesto dell’ immigrazione e della Inter-cultura. Ma non per questo bisogna abbandonare gli spazi possibili visto che proprio adesso, in epoca di rigurgiti razzisti, di gravi violazioni dei diritti e di latitanze istituzionali ogni tassello di impegno culturale è importante. Sull’altro fronte, purtroppo, sia per retaggio storico e linguistico, sia perché le nostre politiche inter-culturali sono così carenti, il Maghreb si volge ad altri paesi arabi od occidentali (soprattutto alla Francia), tralasciando quell’orizzonte di progetti inter-mediterranei Nord/Sud un tempo assai vivaci nel rapporto con l’Italia.
Marina Pisarello – Con la scomparsa di Assia Djebar e Fatema Mernissi, figure femminili carismatiche per spessore intellettuale e per l’impegno civile, sembra essersi chiusa un’epoca. Quale ruolo hanno attualmente le donne nel panorama letterario e artistico del Maghreb? Quali sono le figure emergenti?
Toni Maraini – Figure femminili attive nel mondo culturale, di spessore intellettuale e impegno esistono (penso ad esempio al gran lavoro di Aïcha Ech-Chenna, ma non soltanto), ed esiste una nuova agguerrita generazione di giovani donne, in tutti i settori, ma l’informazione in Italia non giunge, anche per le ragioni già dette prima. Quella che si è chiusa, non è tanto l’epoca di figure carismatiche quanto l’epoca in cui le si facevano conoscere in Italia. Non si conoscono qui persone come la sociologa Sumaya Naamane Guessous (un solo libro edito in Italia nel 1993 da La Luna), o la Ech-Chenna. Basterebbe entrare in una buona libreria in Marocco per informarsi… tenendo tuttavia presente che li, come qui e altrove, mercato editoriale e media tendono a creare personaggi e opere di successo, e magari lasciare a piccoli editori ottimi lavori e produzioni e che, quindi, bisogna saper valutare le dinamiche e farsi un’idea non condizionata della cultura in atto sul piano ufficiale nazionale. Per i viaggiatori che rifuggono dalle grandi città e preferiscono scoprire il Marocco della natura e delle tradizioni, non è cosa facile da capire… ma fare capolino in qualche libreria può essere istruttivo.
Marina Pisarello – Statistiche recenti affermano che il 30% dei medici e degli avvocati in Marocco sono donne, ma molte sono le donne escluse, prive di accesso all’istruzione. Il femminismo in Nord Africa è un fenomeno élitario oppure agisce su questo fronte?
Toni Maraini – Allora, cominciamo col ricordare che sotto il colonialismo - quando le scuole erano precluse e vietate alla cosiddetta « popolazione autoctona » - in Marocco soltanto il 2% dei minori era scolarizzato. Ricordiamo anche che per capire molte cose di oggi bisogna conoscere la storia della occupazione coloniale (la cui politica più violenta, truce, lunga quasi un secolo e distruttiva riguardò l’Algeria). Dopo l’Indipendenza nel 1956, con la creazione di scuole pubbliche statali e l’obbligo all’istruzione, fu varato in Marocco un ampio programma d’alfabetizzazione nazionale. Le statistiche confermavano che nel 1982 la analfabetizzazzione era scesa del 68% nonché che continuità scolare e numero delle persone laureate (con buona proporzione uomini/donne) erano in crescita. Questo processo potei toccarlo con mano avendo, dal 1964 al 1984 insegnato in varie istituzioni pubbliche (scuola popolare elementare e progetti pilota sociali per l’infanzia, istituto d’arte, Università ecc.) e visto accedere all’istruzione sempre più bambine, ragazze e laureande. Va da sé che non si trattava di un processo facile da realizzare senza essere accompagnato sia da mutazioni socio-culturali nell’ambito familiare e delle mentalità, sia da politiche scolari realmente efficaci e attive a riguardo del divario campagne-città, di genere e stato sociale. Tanti erano ancora i problemi di fondo e le inadeguatezze del sistema. Ma in circa 66 anni dalla Indipendenza e unità nazionale, e visto quali erano le realtà sotto il Protettorato coloniale (e ricordandoci come a cent’anni dalla sua unità l’Italia ancora aveva immensi problemi e disparita’ da affrontare), il risultato non è stato da poco. Riconoscendo che molto restava ancora da fare, nel 2004 lo stato varava la cosiddetta « strategia di alfabetizzazione nazionale » e poi, nel 2012, un « nuovo piano di alfabetizzazione ». Tappe di progetti e lavori non facili, anche per i nuovi problemi sociali (inurbamento massiccio e conseguenti forme di precarietà e miseria rurale, oltre che, adesso, gap digitale tra studenti di ambienti diversi) ma il processo va avanti.
Il femminismo in Nord Africa? Ha una storia importante che ha accompagnato nei paesi del Maghreb - sin dal periodo detto « del Risveglio » e quello della lotta per l’indipendenza e contro il colonialismo - le varie tappe e numerose battaglie delle donne per l’avanzamento sociale e legale del loro statuto, per le politiche di alfabetizzazione e scolarizzazione eccetera. È una lunga storia con importanti conquiste nonostante momenti difficili e conflittuali, incluso quello dell’arrivo sulla scena negli anni ´80 dei movimenti fondamentalisti. Il femminismo nel Maghreb non è oggi un fenomeno elitario. Per dirla con la Mernissi - che nel 1993 riassumeva la cosa in poche divertenti e informali parole - “l’harem di papà sta trasformandosi nella società civile di mammà”… Le ‘primavere arabe’ hanno poi contribuito a diramare detta trasformazione nel sociale. Basterebbe a questo riguardo prendere atto dei tanti gruppi e delle cooperative ed associazioni di base di donne che agiscono « sul fronte ». Poco visibili a chi viaggia in Marocco ma molto attive, dette cooperative e associazioni includono quanto negli anni compiuto - per esempio - da Aïcha Ech-Chenna e la sua « Association de Solidarité féminine » (case/rifugio per ragazze madri e minori), dalla ‘Fondation Ytto’ (attiva tra l’altro contro la violenza sulle donne), dal gruppo ‘Insaf’ (nato come cooperativa per aiutare « les femmes en détresse » con laboratori, accoglienza, istruzione) o, nell’ambito legale, dalla « Association marocaine des femmes juges » affiliata alla ONG internazionale « Avocats sans frontières »… Insomma tante realtà, piccole e grandi, urbane e rurali, create da donne sul terreno. Un documento recente, utile da consultare sul percorso del femminismo in Marocco, può essere quello di Rabia Naciri « Les Mouvements des femmes au Maroc » (2014). Nel 1997 era uscita presso l’éditrice Le Fennec (Casablanca) e in collaborazione con l’Istituto per il Mediterraneo di Roma (ormai inesistente) il libro collettivo di varie autrici e studiose Magrebine « Droit de citoyenneté des Femmes au Maghreb, et le Mouvement des Femmes ».
Marina Pisarello – Come lei stessa osserva, da alcuni anni a questa parte sono comparsi anche in Marocco abbigliamenti estranei alla tradizione locale: velature integrali, mani coperte dai guanti, lunghe barbe. Ho notato che si tratta quasi sempre di giovani coppie. Come interpreta questa novità? Semplice esterofilia oppure un fenomeno complesso, da guardare con attenzione?
Toni Maraini – Da quando negli anni ´80 il proselitismo del fondamentalismo nato in Medio Oriente ha fatto propaganda diramando nel Maghreb (ricordiamo il FIS nel contesto algerino), il fenomeno è stato oggetto di studi, analisi, dibattiti, controversie… e perfino alcune satire e vignette caricaturali. Non si tratta di semplice esterofilia, si nutre di proclami e ideologie, saldamente sostenuti dai partiti di destra dell’area islamista e ha coinvolto membri di una giovane generazione in cerca di risposte al clima conflittuale che si era creato coi lunghi anni della Guerra del Golfo. Ma i suoi emblemi vestimentaire (e non solo) restano « abbigliamenti estranei » alle tradizioni locali, e devono patteggiare con una società che a molti livelli avanza su altri binari, con altre idee e in qualche modo li argina pur convivendovi.
Marina Pisarello – Professoressa Maraini, lei è stata testimone dei cambiamenti portati dalle prime grandi opere postcoloniali. Strade ed autostrade che hanno accorciato le distanze. Ma anche dighe che hanno sconvolto l’ecologia di vaste aree, insieme all’economia tradizionale delle loro popolazioni. Il Barrage al-Mansour di Ouarzazate per la Valle del Dràa e per la regione del Lago Iriki, Bin el-Ouidane nella Provincia di Azilal.
Oggi la spinta alla modernizzazione del Paese ha subito un’accelerazione formidabile, con grandi progetti infrastrutturali, incentivi all’imprenditoria straniera, sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, dal solare all’eolico e un veloce inurbamento della popolazione. Al Marocco sono interessate grandi potenze economiche, dai Paesi del Golfo alla Cina. Questa volta la regia le sembra più attenta alle implicazioni ambientali e sociali?
Toni Maraini – A parte i percorsi di crescita e modernizzazione che ogni paese il secolo scorso, e così il Marocco, ha bene o male perseguito, le grandi multinazionali e i grandi affari odierni delle potenze economiche straniere impiantate in loco poco si interessano alle implicazioni ambientali e sociali e molto contano su accordi per opere spesso faraoniche di cui pilotano il realizzarsi (vedere il progetto cinese di una mega-acciaieria, la più grande del Mediterraneo, messo in cantiere a ridosso della più antica e bella zona costiera di Tangeri con gravi ricadute di degrado ambientale…). La regia non sembra più attenta, ma qualcosa davvero sta cambiando in vari settori e nella opinione pubblica, e questo preme efficacemente sugli apparati decisionali dello Stato e porta a più attente iniziative pubbliche e a delle imprenditorialità giovanili. Gruppi e associazioni si sono costituiti e si mobilitano per una presa di coscienza trasversale, e presso le autorità competenti, dei problemi di sostenibilità e protezione umana e ambientale. Un piccolo esempio dal basso può essere questo riportato qui sotto (riproduco due paginette del mio ultimo libro ‘Sognare e resistere nella Casa Mondo’) che racconta come non solo le famiglie contadine di Imider abbiano ingegnosamente protestato ma anche che hanno ricevuto sostegno da tante associazioni, nonché articoli e visibilità nei giornali. Cosa un tempo meno probabile.
Marina Pisarello – Il sud appare particolarmente penalizzato. La Civiltà Sahariana (cito Pietro Laureano) ha rappresentato un esempio unico di coesistenza fra comunità nomadi e stanziali. Per secoli la difficoltà degli spostamenti attraverso il deserto ha fatto sì che l’intraprendenza dei carovanieri fosse fonte di ricchezza per le città africane. Oggi fattori ambientali e politici rendono del tutto marginale il nomadismo in Marocco.
È curioso che nello stesso tempo la crisi del capitalismo occidentale costringa un numero crescente di persone, come i vandwellers del libro-inchiesta di Jessica Bruder, a lasciare una vita stabile e confortevole per una precaria vita di strada.
Cosa direbbe di questo paradosso Lalla Ftuma, la sua saggia amica dei dialoghi sulla panchina?
Toni Maraini – Lalla Ftuma, i cui propri avi avevano un tempo commerciato con le carovane trans-sahariane della via del sale, nulla saprebbe dei vandwellers!… e tuttavia, pur apprezzando i benefici della sedentarietà, troverebbe normale che vi siano ancora commerci e usanze nomadiche. Commenterebbe però affranta alcune realtà ‘penalizzanti’ odierne migratorie senza più oasi dove sostare ne’ oasi d’arrivo…
Marina Pisarello – Il nomadismo è ancora possibile e utile all’umanità del terzo millennio? Gli ultimi sviluppi nei rapporti internazionali del Regno del Marocco chiudono definitivamente la questione del Sahara Occidentale, oppure aprono scenari politici inediti?
Toni Maraini – In importante sinergia, e magari talvolta anche in conflittualità, con le società sedentarie, il nomadismo ha accompagnato da sempre - con regole reciproche tra nomadi e sedentari - la storia e civiltà umana, il commercio, gli scambi. Non saprei tuttavia cosa rispondere sulla fase odierna se non che di scenari inediti il nomadismo ne ha tanti affrontati… Sradicarlo è una violenza, e poter ‘chiudere definitamente’ la questione nomadica una illusione, ma che questa si autoregoli e trovi nuovi modi di esistenza è possibile… d’altronde, ad esempio, la transumanza stagionale è una delle sue importanti modalità che continua ad essere molto utile a tutti in questo millennio.
Marina Pisarello – "Il Marocco in una teiera" è un passaggio particolarmente amato del suo libro. Tratta della proverbiale ospitalità marocchina, usando la metafora dei vassoi da tè e dei tavolini che sono rotondi e attorno ai quali ci si siede a terra. Questo non pone limiti al numero dei commensali, a differenza dei nostri tavoli spigolosi, con i posti contingentati dal numero di sedie a disposizione. Il rito del tè, nel deserto come nei villaggi berberi costieri o di montagna, è un’esperienza che non si dimentica.
Davanti al nuovo che avanza i marocchini sapranno preservare le loro tradizioni, il loro stile di vita? La loro accoglienza rimarrà spontanea e genuina?
Toni Maraini – Che dire? Il nuovo che avanza con nuove forme di vita sociale, abitudini, tecnologie e quant’altro, ha cambiato e cambia ovunque tante cose, molte si alterano, si perdono… Ma il concetto di ospitalità è così tradizionalmente radicato in Marocco e rappresenta un valore comune fondante, concreto e immaginario (poesie, canti, proverbi, narrazioni, immagini…), che difficilmente può essere dimenticato o non mantenere una sua soggiacente genuinità. Tuttavia, la crisi odierna minaccia la accogliente socialità… Come la Naaman Guessous scrive questa settimana su una newsletter del Marocco (la306.ma), “il proverbio dice ‘un vicino è una benedizione per il suo vicino di casa’, ma oggi è ancora così?”. Un altro proverbiò diceva “se non hai la cena pronta a casa tua, quella della vicina lo sarà anche per te”… Oltre le mutazioni introdotte dalla modernità, oggi, con la pandemia, timori, isolamento, diffidenza ne minacciano la concreta saggezza. E se è così per il vicino di casa come sarà per lo straniero di passaggio? Strategie di convivenza per fortuna sussistono e si riattivano, e la speranza è che, all’uscire dal tunnel isolazionista, paese e genti riprendano ad onorare proverbi e accoglienze. Intanto, un’altra newsletter del Marocco informa che per la campagna di vaccinazione iniziata ieri, fine Gennaio 2021, a Tangeri, nei padiglioni istallati per vaccinare nei quartieri popolari, le persone (locali e straniere) sono state accolte con offerta di latte e datteri, la più tipica e antica forma di ospitalità…
Marina Pisarello – I nostri camminatori hanno a cuore l’ambiente e le persone. Cerchiamo l’incontro, desideriamo muoverci "in punta di piedi", con gentilezza. Tuttavia non è sempre facile comprendere quali comportamenti siano davvero virtuosi. Si può sbagliare con le migliori intenzioni. Per questo rivolgo a lei una domanda che mi pongo spesso: cosa vuol dire essere visitatori sensibili, rispettosi e responsabili in un Paese più volte colonizzato, che trae dal turismo il 10% del PIL e che nel 2019 ha registrato la presenza di ben 13 milioni di turisti stranieri?
Toni Maraini – Essere visitatori sensibili, rispettosi e responsabili significa, appunto, esserlo! quale che sia il paese… Nel caso del Marocco, meta turistica con milioni di visitatori non sempre rispettosi e sensibili, bisogna avere maggior senso di responsabilità. Ma poiché viaggi e soggiorni turistici seguono perlopiù sempre gli stessi itinerari, i visitatori attenti possono muoversi altrimenti, per sentieri meno battuti e aree più remote, ma pur sempre rispettando le circostanze e le usanze, con cautela e senza avventurismo o forzature. Come in ogni altro paese, Italia inclusa, bisogna sapere evitare situazioni incresciose. Infine, per rispondere alla questione del ‘paese colonizzato’, ribadisco l’importanza di conoscerne la storia coloniale perché può aiutare a meglio capire alcune cose, incluso le varianti regionali che determinarono fenomeni diversi (colonialismo spagnolo al Nord, internazional-coloniale, con interessi italiani inclusi, a Tangeri, politiche di accaparramento delle terre fertili per i latifondi dei Coloni al Centro, politiche militari nelle zone di confine e tra città ecc.).
Marina Pisarello – Grazie, Toni Maraini, di averci accompagnato oltremare in questa strana stagione di viaggi sospesi. Ancora una domanda: perché il Marocco, antico e moderno, ci incanta sempre e ci fa ancora sognare?
Toni Maraini – Perché variegato e bello, nel contempo Mediterraneo, Afro-Sahariano, Mediorientale e Oceanico, ricco, tra coste spettacolari e oasi, di montagne e vallate, e possiede l’ampio respiro d’un continent… cosa rigenerante e seducente per chi viaggia in provenienza di luoghi sovraffollati, richiusi tra frontiere e con poche occasioni di percepire le vastità continentali della natura… Perché nonostante tutto è ancora ricco di tradizioni e arti, dai mestieri alla musica e alla architettura che, nelle sue grandi varianti storiche, è stata nel più dei casi preservata. Perché parte integrante di miti antichi sedimentanti in un retaggio favoloso a noi familiare: la mitologia greco-romana vi collocava Atlante che regge il mondo, il Giardino delle Esperidi, le Colonne di Ercole e alcune avventure di Perseo, Circe, Ulisse e dello stesso Ercole, nonché, al largo della costa oceanica, la collocazione di Atlantide, dei Campi Elisei e delle Isole Fortunate già menzionate da Egizi e Fenici. Visitando il Marocco, attraversiamo un archivio di memorie archeologiche (dal cromlech di Mzora, la proto-storia delle immagini rupestri, le vestigia Fenicie, Greche e Romane) e di monumenti storici (dalle architetture berbero-atlantiche-sahariane a quelle cittadine del retaggio arabo-giudeo-andaluso) che si dispiegano con reciproche influenze… Ci fa sognare per un certo suo modo di essere antico e moderno, concreto e leggendario, fiero e accogliente,e l’aver saputo, nonostante i tanti problemi di fondo ancora gravosi restare coeso nelle sue molteplici forme (tra cui politiche inter-religiose e recente adozione ufficiale in ogni settore della lingua berbera). Infine - e questo anche per chi pur visitandolo non ne sa nulla - è un paese in cui si è diramato il Sufismo in modo profondo e capillare con una varietà di insegnamenti spirituali e filosofici tramite confraternite popolari e produzioni artistiche (musica, danza, canti, poesie, ecc.), e questo ha lasciato dei segni che ingentiliscono e fanno da contrappeso alle più rudi espressioni e forme del vissuto.
L’incanto, tuttavia, come ben dite - e che resta inalienabile e giusta emozione - non deve far perdere di vista certe realtà politiche e sociali che necessitano ascolto e supporto internazionale. I visitatori e viaggiatori sensibili devono dunque equilibrare emozioni e sogni con la consapevolezza che tanto bolle in pentola in ogni paese e società… ».
Toni Maraini e Mohamed Melehi, Marocco 1969
Nota biografica
Toni Maraini (nome d’arte di Antonella Maraini), storica d’arte, saggista, studiosa del Maghreb, poeta e scrittrice. Tra il 1964 e il 1986 ha vissuto in Marocco, dove ha insegnato, fatto ricerche, partecipato ad alcune attività artistiche pioniere e pubblicato articoli e libri. Nel 2008 ha ricevuto ‘La Palme de Marrakech’ per gli scritti d’arte su Marocco e Maghreb. Ha pubblicato saggi, articoli, antologie e libri in Italia e all’estero. Ha diretto il Fondo Alberto Moravia (Roma 1991/2007). Collabora con la rivista ‘Horizons Maghrébins’ (Università di Toulouse). Risiede a Roma.
Sito web: tonimaraini.org
"22 March 2021